Nessuna terapia è possibile in psichiatria (come in altre branche della medicina) senza un approccio olistico che includa cioè tutte le possibili fonti di aiuto per permettere al paziente di migliorare e quando possibile guarire.

Gli psicofarmaci sono quei composti, di origine naturale o sintetica, il cui effetto principale consiste nel modificare l’attività psichica e vengono usati nella terapia dei disturbi psichiatrici o per attenuare alcuni sintomi specifici.
La parola “psicofarmaci” evoca a volte nelle persone fantasmi, un atteggiamento negativo, ai quali contribuiscono un insieme di luoghi comuni, stereotipi culturali e posizioni ideologiche.
Gli psicofarmaci costituiscono un insieme molto eterogeneo di sostanze che hanno in comune tra loro solo il fatto di interagire con il sistema nervoso centrale, ma ciascuno ha una propria specificità e svolge peculiari azioni. Alcuni sono sedativi, altri stimolanti, altri sono ansiolitici senza però dare sedazione, altri ancora non hanno alcun effetto immediato sulla vigilanza. Alcuni producono sensazioni soggettive decisamente sgradevoli (solitamente nel breve termine e per un periodo limitato), mentre altri possono generare sensazioni di benessere; certi hanno un’azione immediata, altri necessitano di un periodo di alcune settimane prima di esplicare la propria azione.

L’integrazione di intervento farmacologico e psicologico si è progressivamente diffuso in psichiatria, anche se permane ancora della diffidenza nel combinare trattamenti come la psicoterapia e i farmaci, per loro natura diversi e tradizionalmente distinti nella cultura psicologica e psichiatrica. Gli psicoterapeuti hanno spesso criticato i trattamenti farmacologici per il loro effetto sostanzialmente “sintomatologico”, ritenendo che non possano agire sulla struttura e sulle dinamiche psichiche profonde dell’individuo senza ridurre il rischio di eventuali ricadute. Inoltre l’impiego di farmaci, a detta di molti, potrebbe influire negativamente sul processo psicoterapeutico portando a una diminuzione della motivazione al trattamento in seguito alla scomparsa, dovuta all’azione farmacologica, dei sintomi psichici ovvero ciò che motiva il paziente a iniziare un percorso psicoterapico. Ciò andrebbe a limitare la possibilità di sviluppare una relazione e un’alleanza in grado di intervenire sulle aree critiche del disagio.
Esistono però numerose conferme sugli aspetti positivi dell’integrazione dei due approcci poiché ognuno svolgerebbe un ruolo complementare all’altro. La terapia farmacologica, se mirata e correttamente modulata, è in grado di svolgere un’azione facilitante sul funzionamento psicologico e sulla capacità del paziente di partecipare al processo psicoterapeutico: l’alleviamento dei sintomi contribuisce ad aumentare l’accessibilità del paziente e a migliorarne la capacità di entrare in contatto col proprio disagio e parlarne.
Il trattamento combinato è stato raccomandato dalle linee guida dell’APA (American Psychiatric Association) e da un punto di vista neurobiologico crescono ogni giorno le evidenze empiriche che gli stessi cambiamenti cerebrali ottenuti dalle terapie farmacologiche si mostrano anche nei pazienti che hanno conseguito giovamento dalle psicoterapie.
Si è così giunti a una situazione di consenso generale in cui è opinione diffusa e condivisa tra i vari specialisti della salute mentale che psicoterapia e farmacologia possono avere un funzionamento sinergico e che a volte insieme permettono di raggiungere risultati che i singoli trattamenti da soli non sarebbero in grado di raggiungere.

Prima di iniziare il trattamento, il paziente deve essere consapevole che il medico è l’unica persona addestrata a regolare la dose, la durata e la modulazione dei singoli farmaci prescritti, e che l’autogestione, come il cambiamento del dosaggio o l’interruzione improvvisa della cura può comportare effetti anche molto spiacevoli. Inoltre, deve essere consapevole del fatto che sarà necessario un regolare monitoraggio delle condizioni cliniche per valutarne l’evoluzione e gli effetti del trattamento.

La terapia farmacologica non si pone come semplice strumento per il contenimento di un sintomo (es. bloccare uno stato di agitazione) ma deve porsi come intervento di recupero in un percorso associato ad altre terapie (es. colloqui psichiatrici, psicoterapia, meditazione ecc.). In psichiatria ci si trova spesso di fronte a quadri clinici misti, con presenza di più sintomi rispetto al disturbo centrale, sui quali occorre intervenire in modo combinato perché trascurandoli potrebbero ostacolare il buon esito del percorso di recupero del benessere.
In alcune casi, non si può risolvere il quadro patologico esclusivamente con i farmaci. Le evidenze scientifiche hanno dimostrato che la scelta più potente è il trattamento combinato, ovvero l’associazione di terapia farmacologica e terapia psicoterapia. Si tratta solitamente di percorsi che richiedono tempi lunghi.
La gestione della terapia deve infatti tener conto anche dei sintomi accessori. La gestione farmacologica dei disturbi psichiatrici, in linea con i principi dell’approccio biopsicosociale, parte dall’anamnesi clinica del paziente, deve cioè tenere conto degli aspetti legati alle condizioni fisiche del paziente e del suo generale stato di salute. La fase di condivisione della terapia è fondamentale per rendere consapevoli ed informati il paziente ed i familiari sul percorso che si andrà ad intraprendere, in modo da instaurare un rapporto costruttivo con le figure professionali che intervengono nel percorso terapeutico (medico, psicologo, ecc.).
È importante infatti che il paziente aderisca alla terapia senza paura e senza disagi.