L’ADHD (Attention Deficit Hyperavivity Disorder – Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività) descrive una condizione clinica ad esordio nell’infanzia (o nella pre-adolescenza) e caratterizzata da una sintomatologia variegata imperniata sulla pre- senza di alterazioni in tre grandi aree quali l’attenzione, l’impulsività, l’iperattività. Nella nuova edizione del Diagno ic and Stati ical Manual of Mental Disorders (DSM 5) l’ADHD è stato inserito all’interno della sezione “Disturbi del Neurosviluppo”. Que i di urbi sono accomunati dalla caratteri ica di presentarsi pre- cocemente, esso già prima dell’età scolare, e di causare alterazioni nel funzionamento individuale, scola ico e socio-relazionale. Pur essendo ato originariamente descritto come eci co di urbo dell’infanzia, un gran numero di udi scienti ci apparsi nell’ultimo decennio hanno sottolineato che no a due terzi dei soggetti con ADHD in età pediatrica continuano a manife are il di urbo anche in età adulta.

Nel corso dello sviluppo individuale le caratteri iche cliniche dell’ADHD si modificano e possono essere “mascherate” dall’esordio di altre manife azioni psi- copatologiche di insorgenza successiva, quali i di urbi d’ansia o i di urbi depressivi, rendendo complesso il riconoscimento del disturbo. Il mancato trattamento di un ADHD sotto ante è stato associato ad un peggioramento del quadro clinico e della prognosi in diversi di urbi psichici. È stato ad esempio segnalato che la presenza di un misconosciuto ADHD peggiora la prognosi in patologie depressive e ansiose e può aggravare l’andamento clinico del di urbo bipolare, anche se que ‘ultimo dato appare controverso (41). In età adulta la caratteri ica prevalente e maggiormente di urbante appare di norma legata alle di coltà attentive, verso cui le rategie individuali di coping appaiono esso insu cienti per determinare un buon funzionamento negli ambiti di vita (lavoro, udio, relazioni), mentre gli a etti di iperattività generalmente si modi cano e rimangono evidenziabili soprattutto in una dimensione impulsiva e in una sensazione interna di inquietudine. Un’osservazione clinica non eci catamente mirata a que e problematiche può quindi correre il rischio di non individuare pazienti a etti da que o disturbo. La letteratura scientifica internazionale degli ultimi anni ha segnalato che l’ADHD è un problema numericamente rilevante anche in età adulta. Gli udi hanno infatti segnalato tassi di prevalenza nella popolazione generale compresi tra il 2 e il 5%. Di erentemente ri etto all’età pediatrica, negli adulti l’ADHD si presenta di ribuito in modo più omogeneo per sesso, con un rapporto di 1:1 tra maschi e femmine. Se si considerano anche soggetti sotto-soglia che presentano un signi cativo e etto della sintomatologia sul funzionamento, ma che al contempo non possono essere diagno icabili con i criteri attuali, i tassi di prevalenza risultano e remamente più elevati raggiungendo circa il 16%. Faraone & Biederman hanno coniato il termine di Narrow ADHD (soddisfacimento sia dei criteri diagno ici in età pediatrica che in età adulta) e di Broad ADHD (che include i soggetti sottosoglia) per segnalare tale a etto di rilevante importanza clinica.

Il dibattito circa la necessità di porre attenzione clinica anche a soggetti sottosoglia appare un tema estremamente complesso. I medesimi autori, studiando l’andamento del tempo di soggetti con ADHD diagnosticato in età pediatrica, hanno riscontrato significative differenze se si considera la permanenza della costellazione sintomatologica necessaria alla diagnosi o se si considera il funzionamento dell’individuo (4, 5). Globalmente, è stato riscontrato che più del 60% dei bambini con diagnosi di ADHD manifesteranno una forma del di urbo anche in età adulta. Soggetti con pregresso ADHD pediatrico mostrano un peggior outcome rispetto ai controlli, con una maggior frequenza di disturbi del comportamento, abuso di alcool e di sostanze, di urbi di personalità, di urbi dell’umore, alterazioni delle funzioni esecutive, disregolazione emotiva e globalmente un peggioramento del funzionamento. Un aspetto importante nel soggetto adulto riguarda la comorbidità tra ADHD ed altre patologie psichiche. La prevalenza dell’ADHD appare estremamente elevata, attorno al 15%, in soggetti adulti con altri di urbi psichiatrici (30, 12). Al contempo, soggetti con ADHD hanno una comorbidità estremamente elevata con patologie psichiche, tanto che no ai due terzi dei soggetti con diagnosi di ADHD ha almeno un disturbo psichico associato. L’elevata comorbidità si rende responsabile di fenomeni frequenti nella clinica: i pazienti con ADHD esso giungono ai servizi lamentando altri di urbi emergenti tanto che l’ADHD può re are misconosciuto, con tassi elevati di non responders dovuti al mancato trattamento del disturbo sottostante. Appare quindi primario che il clinico possa, nel corso di una valutazione specialistica, far nascere in sé il dubbio di un possibile ADHD, poiché il paziente spesso non porta spontaneamente elementi sufficienti o indicativi, in quanto riconosce le proprie modalità disattentive ed impulsive come parti co ituenti della propria struttura personologica.

la progressiva modificazione delle manifestazioni cliniche nel corso dello sviluppo individuale e l’alta comorbidità psichiatrica riscontrata in soggetti con ADHD pone nella pratica clinica il problema di un corretto riconoscimento diagno ico, passo indi ensabile per un adeguato intervento terapeutico. I pazienti con ADHD si presentano ai servizi psichiatrici lamentando sintomatologia di erente, che generalmente riguarda altre categorie diagno iche (30, 12) e solo in una percentuale ridotta dei casi giungono (generalmente a servizi super- eciali ici per l’ADHD) con problematiche che facilmente possono essere riconducibili a problemi disattentivi o di impulsività/iperattività.

Un primo aspetto da considerare è determinato dall’andamento longitudinale della patologia. In età adulta infatti si assiste a una riduzione dell’iperattività e alla prevalenza degli aspetti disattentivi. Tra questi ultimi, aspetti tipici possono essere la distraibilità, la tendenza al disordine e le difficoltà ad organizzarsi. Soggetti con ADHD tendono ad arrivare in ritardo anche ad appuntamenti importanti ( esso infatti non usano sveglie, agende e orologi), possono apparire sbadati e spesso hanno svariate dimenticanze. L’impressione clinica è quella di una considerevole fatica ad organizzarsi, a mantenere una regolarità e una ruttura nel comportamento. Per tale motivo è esso frequente la tendenza a procra inare, soprattutto di fronte a compiti/ situazioni complesse, che richiedono organizzazione e che, per questo motivo, possono apparire fonte di forte ansia. Anche in situazioni in cui il soggetto abbia trovato dei “correttivi”, questi possono essere utilizzati in modo rigido: ad esempio non è infrequente che soggetti con elevata tendenza al disordine cerchino di essere estremamente metodici e che tale a etto possa mimare, sul piano clinico, una mode a ossessività essendo frequentemente caratterizzata da una significativa rigidità di pensiero. L’iperattività, nel corso dello sviluppo, tende a ridursi e a lasciare il campo a una sensazione di irrequietezza interna. Soggetti adulti con ADHD possono quindi apparire “inquieti”: possono faticare a presenziare a meeting (o ad altre situazioni in cui è importante rimanere a lungo fermi e seduti), possono essere logorroici o mo rarsi incapaci di attendere il proprio turno in una conversazione inter- rompendo gli altri prima che abbiano completato i loro ragionamenti. In situazioni (ad esempio sul lavoro) dove non è socialmente accettabile muoversi o allontanarsi possono essere presenti alcune evidenti manifestazioni di irrequietezza comportamentale (ad es. mangiarsi unghie, muovere le gambe, continuare a muovere le mani, tamburellare con le dita ecc.). L’irrequietezza interna può essere “sfogata” nello sport (con alcuni soggetti che sviluppano una vera e propria dipendenza dall’attività sica) oppure essere tenuta a bada con l’utilizzo di sostanze (cannabis/ alcool/tranquillanti). Un secondo aspetto da considerare è che la presenza di un ADHD non trattato peggiora la prognosi in diversi di urbi psichici. Di fronte ai cosiddetti “poor responders” è buona pratica clinica che, accanto alle valutazioni del caso circa la correttezza delle prescrizioni terapeutiche ed il loro reale utilizzo da parte del paziente, venga anche e ettuata una rivalutazione diagnostica. È opportuno in questa situazione effettuare un approfondimento diagnostico che pre i attenzione anche alle modalità di funzionamento cognitivo e che consideri la possibilità che sia presente un ADHD misconosciuto.

L’ADHD è stato associato ad una disorganizzazione dei ritmi circadiani: è ato infatti segnalato come soggetti con ADHD sembrino mancare di senso del tempo e che i problemi del sonno siano più la regola che l’eccezione, colpendo no all’83% dei soggetti adulti con ADHD. Possono essere presenti aspetti differenti di questa disorganizzazione e i soggetti possono sia faticare ad andare a letto “in tempo”, così come ad addormentarsi o a mantenere il sonno. Spesso queste difficoltà si associano a problemi ad alzarsi al mattino e a sonnolenza diurna. Il pattern appare sugge ivo di una ritardata fase del sonno. La disorganizzazione dei ritmi circadiani può associarsi ad una disorganizzazione dei ritmi dell’alimentazione. Alcuni a etti appaiono di origine comportamentale: ad esempio, soggetti con ADHD sono più esso portati a saltare la colazione, a causa di una scarsa capacità, soprat- tutto al mattino, nell’organizzazione dei tempi. Inoltre, addormentarsi tardi può facilmente portare a un minor numero di ore di sonno (dato a sua volta associato a un rischio incrementato di obesità). Il sonno è infatti un importante modulatore delle funzioni neuroendocrine e la perdita di sonno è ata associata ad alterazioni metaboliche ed endocrine tra cui una ridotta tolleranza al glu- cosio, una diminuita sensibilità all’insulina, un aumento delle concentrazioni serali di cortisolo, un aumento dei livelli di grelina e una diminuzione dei livelli di leptina, con conseguente aumento della fame e dell’appetito.

L’ADHD index è ato direttamente associato ad un aumento del BMI e una recente metanalisi ha identificato un odd ratio di 1,55 (95 % CI = 1,32-1,81) negli adulti ri etto all’associazione tra obesità e ADHD: in questo lavoro gli autori sottolineavano come la prevalenza di obesità era aumentata di circa il 70 % negli adulti con ADHD rispetto ai controlli.

In conclusione, la diagnosi di ADHD nell’adulto è una diagnosi fondamentalmente clinica. Consiste in un processo decisionale molto delicato, che si avvale in maniera significativa dell’esperienza soggettiva del paziente e che inge ad allargare lo sguardo dalla mera sintomatologia alle modalità di adattamento attivate dal soggetto nel corso del tempo, risultate scarsamente efficienti nel garantire un adeguato funzionamento in diversi ambiti della sua esistenza. Effettuare una valutazione completa che non tralasci alcun aspetto associato a tale disturbo è un passaggio indispensabile per poter pianificare l’intervento terapeutico più idoneo e il più possibile efficace.

Se il trattamento farmacologico, con psicostimolanti (in Italia è disponibile il Metilfenidato) o con Atomoxetina, è considerato l’approccio di elezione nel ridurre l’intensità dei sintomi principali (disattenzione e iperattività-impulsività), altri approcci non farmacologici possono rappresentare delle utili strategie per imparare a vivere con l’ADHD affiancando le cure farmacologiche, amplificandone gli effetti.

Il protocollo di Mindfulness Self-Compassione e ADHD si propone di lavorare con la mente vagabonda e con la disregolazione emotiva, caratteristiche tipiche del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività.  Se ADHD è una condizione caratterizzata dalla disregolazione, la Mindfulness è un allenamento all’autoregolazione.  Qualunque siano le sfide che affrontiamo, le gestiamo meglio quando riusciamo a riconoscerle con precisione, uscendo dalla routine della mente e dei comportamenti, dalla reattività, ansia e insicurezza. Soffrire di ADHD ostacola la capacità di raggiungere obiettivi, non solo a scuola o nel lavoro, ma anche nelle relazioni e nella vita in generale. Vivere con tale disturbo influisce sulla percezione di sé e sulle proprie capacità: è come vivere con le migliori intenzioni e non sentirsi all’altezza di realizzarle. Amici e familiari continuano a dire di fare di più, anche se si sta già facendo quello che si può. Questo porta a dubbi sulle proprie capacità e ad una bassa autostima, a frustrazione e perdita di speranza.  La gestione dei sintomi ADHD richiede uno sforzo prolungato e capacità di risoluzione dei problemi. Per essere resilienti, dobbiamo saperci identificare con i nostri punti di forza, ma anche saper riconoscere, con gentilezza verso noi stessi, le nostre imperfezioni. L’idea di auto-compassione è semplice: rapportiamoci con noi stessi come faremmo con un nostro caro amico.  L’autocompassione è un antidoto contro l’autocritica e l’eccessivo perfezionismo. Impariamo ad assumerci la responsabilità degli errori, senza fustigarci per quelli che abbiamo commesso. La self-compassion migliora il modo in cui ci sentiamo, il nostro approccio ai problemi e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri. Per avere successo sono necessari la voglia di migliorarsi e lo spazio per poter inciampare, per poi riorganizzarsi e riprendere la via. La ricerca suggerisce che la pratica di Mindful Self-Compassion può essere coltivata e approfondita da parte di chiunque. 

Se hai i sintomi dell’ADHD, la pratica di Mindful Self-Compassionti consente di prosperare in modi che non avesti mai creduto possibili. 

La mia esperienza nella ricerca e nella clinica sull’ADHD

Sono stato per anni referente per i pazienti ADHD presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’ULSS6.

Ho contribuito a pubblicare i seguenti articoli:

Zadra E, Giupponi G, Migliarese G, Oliva F, De Rossi P, Gardellin F, Scocco P, Holzer S, Venturi V, Sale A, Corato AM, Paletta S, Portigliatti Pomeri A, Ferreri P, Busetto P, Palucchini A, De Dominicis F, Florio V, Bizzarri JV, Boschello F, Contardi A, Mari L, Gubbini S, Manzi A, Nicolò G, Manfredi G, Raponi A, Bruletti S, Ravelli L, Steiner V, Danieli A, Reibman Y, Cerveri G, Bondi E, Innamorati M, Perugi G, Pompili M, Mencacci C, Conca A. Survey on centres and procedures for the diagnosis and treatment of adult ADHD in public services in Italy. Rivista di Psichiatria. Nov-Dec 2020;55(6):355-365. doi: 10.1708/3503.34894

Maurice V, Russet F, Scocco P, McNicholas F, Santosh P, Singh SP, Street C, Purper-Ouakil D. Transition from child and adolescent mental health care to adult services for young people with Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder (ADHD) or Autism Spectrum Disorder (ASD) in Europe: Barriers and recommendation. L’Encéphale, 2022 Jun 17;S0013-7006(22)00070-7.  doi: 10.1016/j.encep.2022.01.012. Online ahead of print

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *